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24 febbraio 2011

La Coca Cola mette la foglia in bottiglia

La Coca Cola mette la foglia in bottiglia

La Commissione nazionale per lo sviluppo e la vita senza droghe del Perù sostiene che Coca Cola compra migliaia di tonnellate di foglie di coca in Perù e Bolivia.
Questa volta non si tratta dei cocaleros peruviani. Si tratta invece dello zar antidroga del Perù, Nils Ericsson, presidente della Commissione nazionale per lo sviluppo e la vita senza droghe [Devida]. Quest'uomo, che giura che il narcotraffico è “il braccio finanziario del terrorismo” parla spesso a vanvera, ma ogni tanto dice qualcosa d'interessante. Come per esempio quando conferma che la Coca Cola compra foglie di coca in Perù e Bolivia. La storia merita un po' di approfondimento.
Fra le altre cose, Ericsson sostiene di non sapere quanti ettari siano coltivati a coca in Perù e quanti ne siano stati eradicati, ma ultimamente ha deciso di scontrarsi con alcune aziende che producono bevande, e perfino con l'Empresa nacional de coca [Enaco] peruviana, sulla questione dell'industrializzazione della foglia millenaria. Prima si è detto contrario all'industrializzazione, poi ha detto “forse”, e infine ha detto «sì». In meno di due mesi, si è contraddetto diverse volte, fino ad arrivare al punto di dover fare un comunicato ufficiale sul sito web di Devida per negare appunto di essere contrario allo sfruttamento industriale della coca.
Per contraddire questa affermazione, basta ricordare che da poco più di un anno sono comparse in Perù due nuove marche di bevande, Vortex coca energy drink e K-Drink. Sono prodotte da aziende peruviane, sconosciute sia in Perù che altrove, e sono entrambe a base di coca. Tutto legale. A maggio del 2004 è intervenuto l'International narcotics control board [ufficio internazionale di controllo sugli stupefacenti], che ha stabilito che le suddette bevande contenevano alcaloidi. Non è stato chiarito quali [la coca ha ben 16 differenti alcaloidi], ma poiché questa è l'istituzione incaricata di far rispettare la Convenzione di Vienna sugli stupefacenti, siglata nel 1961, Ericsson e Devida hanno cominciato a preoccuparsi.

Eliminare la concorrenza
In effetti, le bevande peruviane contenevano alcaloidi, perciò tanto la Vortex come la K-Drink hanno “ripulito” le proprie formule per eliminarli. Stranamente però Ericsson ne ha deciso ugualmente la sospensione delle vendite. Un fatto piuttosto singolare, visto che era stato proprio lui a negoziare la licenza di una delle due aziende.
Secondo Ricardo Vega Llona, predecessore di Ericsson al comando di Devida, “tutto sembra molto strano e poco ragionevole, a meno che non ci sia dietro una pressione politica, qualcosa del tipo “andiamo a cercare tutto ciò che ha a che fare con la coca e cancelliamolo”. Clara Cogorno, amministratrice delegata della Amadeus corporation, produttrice di Vortex, aggiunge: «Se spariscono le imprese che lavorano legalmente la foglia di coca, i cocaleros non avranno a chi appoggiarsi per evitare la distruzione delle loro coltivazioni». Oltre che essere d'accordo con Vega, Cogorno ha aggiunto che si tratta di un pretesto per far rispettare la politica antidroga degli Stati uniti. La disputa sulle bevande potrebbe arrivare in tribunale, perché le due aziende non hanno alcuna intenzione di mollare.
Il 10 dicembre Ericsson ha pubblicato un editoriale sul quotidiano El Comercio con un titolo suggestivo: “Teorie e bugie sulla foglia di coca”. Nel testo utilizza le parole coca e cocaina come sinonimi, poi afferma che nessun paese comprerebbe prodotti contenenti cocaina”, e che dunque «nessuna industria simile risulterebbe sostenibile e con un futuro economico». «Per l'elaborazione di altri prodotti”, aggiunge, «oltre alla questione della qualità, c'è il fatto che la foglia di coca costa immensamente cara». Probabilmente Ericsson si riferiva al fatto che, con l'aumento delle eradicazioni della coca, il prezzo è salito enormemente. Ma evidentemente il signor Ericsson non conosce le regole della domanda e dell'offerta [se la produzione aumenta, il prezzo cala] oppure, come dicevano Vega e Cogorno, c'è dell'altro?
Il 26 gennaio del 2005 dovrebbe essere una data da ricordare. Quel giorno, infatti, la Devida ha lanciato un comunicato in dieci punti per chiarire la posizione ufficiale sulla questione dello sfruttamento industriale della coca. Al punto 5, nel paragrafo finale, si dice: «La Coca Cola, azienda riconosciuta a livello mondiale per la produzione di bevande gassate, compra dal Perù 115 mila tonnellate di foglia di coca ogni anno e dalla Bolivia 105 mila tonnellate, con le quali produce, senza alcaloidi, 500 milioni di bottiglie al giorno» Avete letto bene. La Coca Cola compra foglie di coca, lo dice il governo peruviano. E questo giochetto le ha fruttato 13 miliardi di dollari di ricavi lordi nello scorso anno. Eppure, nel dicembre del 2002 la rappresentante messicana della multinazionale, Adriana Valladares, aveva detto che “Coca Cola non compra foglie di coca”.

«Non usiamo foglie di coca»
E il 17 dicembre 2002 la portavoce della Coca Cola, Karyn Dest, consultata dal quotidiano messicano El Universal, diceva che «l'impresa non usa cocaina, non è mai stata parte dei nostri ingredienti». Cocaina no, ma foglie di coca sì, secondo il governo del Perù. Se ne potrebbe concludere che la logica dell'eradicazione della coca in Perù abbia dei parametri particolari. Perché se, come sembra, si tratta di eliminare la «coca illegale» e restringere il suo sfruttamento industriale ai prodotti che non contengono alcaloidi [rispettando la Convenzione di Vienna], viene permessa solo la coltivazione per usi tradizionali e quella necessaria a garantire alla Coca Cola il monopolio della produzione delle bevande. E il prezzo proibitivo di cui parla Ericsson? Serve forse a fare sì che solo Coca Cola possa comprare coca ?
Nella cosiddetta «guerra contro le droghe» si dimostra ancora una volta che, tra bugie e mezze verità, c'è molto denaro in ballo. I cocaleros peruviani, che fino ad ora non ne hanno ricavato che morte e repressione, hanno dichiarato "patrimonio culturale" la foglia di coca nella regione di Huánuco.

Bushito, atto secondo
Grandi manovre per garantire un secondo mandato al presidente Alvaro Uribe. Il 30 novembre il Congresso colombiano ha approvato un progetto di legge che consentirebbe la defezione di «Bushito», piccolo Bush, come viene chiamato confidenzialmente il presidente che fa da trincea all'espandersi di governi «fuori controllo» Usa in Sudamerica. Il Plan Colombia, nato come guerra «al narcotraffico» e cambiato in corso d'opera nella più attuale lotta al terrorismo, può finanziare la rielezione di Uribe. L’ambasciatore Usa a Bogotà William Wood ha detto: «Le Farc hanno 40 anni, il mandato presidenziale è di soli 4. Il popolo colombiano ricordi che la tattica delle Farc, di fronte a presidenti fermi e popolari come Uribe, è stata sempre di attenderne la scadenza dei mandato».
* Luis Gómez l’autore di questo articolo, Luis Gómez, è un giornalista boliviano. Scrive corrispondenze peri il quotidiano messicano la Jornada da La Paz ed è una delle firme più autorevoli di Narco News, una rete di reporter di «giornalismo autentico» che si occupa principalmente di «guerra alla droga e democrazia in America latina». Tra i collaboratori dei Narco News Bulletin c'era anche GaryWebb, il giornalista californiano che aveva vinto il Premio Pulitzer per un'inchiesta sui traffici di cocaina della Cia. Luis Gémez, che è da tempo un amico ed estimatore di Carta, ha recentemente scritto il miglior libro uscito in Bolivia sulla «guerra dei gas» a El Alto, la città satellite di La Paz. L’articolo che ci ha inviato è uscito su The Narco News Bulletin il 29 gennaio. Luis annuncia che proseguirà l'inchiesta.

Fonte: disinformazione.it

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